LO SOFFIA IL CIELO
uno spettacolo tratto da
‘Angelo della gravità’ e ‘Le cose sottili nell’aria’
di Massimo Sgorbani
con Maura Pettorruso e Francesco Errico
disegno luci e spazio scenico Giuliano Almerighi
sound design Gianluca Agostini
costumi Stefania Coretti
grafica Giulio Pierrottet
organizzazione Daniele Filosi
drammaturgia e regia
Stefano Cordella
una produzione TrentoSpettacoli
con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Centro Servizi Culturali Santa Chiara – Trento, Assessorato alle pari opportunità della Provincia Autonoma di Trento
progetto vincitore del Festival Fantasio 2015
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Lo soffia il cielo (Un atto d’amore) è una drammaturgia che prende vita da Le cose sottili dell’aria e Angelo della gravità, due testi di Massimo Sgorbani, uno degli autori e drammaturghi più rilevanti in Italia, già Premio Riccione e Premio Enriquez alla drammaturgia. L’incontro tra il giovane regista milanese Stefano Cordella, co-fondatore della compagnia Oyes, e i due testi di Sgorbani avviene in occasione di un premio di regia (Festival Fantasio 2015), che Cordella vince. Da qui parte una ricerca drammaturgica e poetica che si avvicina all’immaginario di Sgorbani, fatto di un’umanità dolente e disturbata, eppure disperatamente affamata di vita autentica nelle molte possibili derive della diversità.
In questo adattamento drammaturgico i protagonisti del testo sono infatti una Madre e un Figlio ai tempi della società dei consumi e delle immagini. Lei chiusa in casa e teledipendente, lui considerato “strano” e con grosse difficoltà relazionali, soprattutto con le donne. Entrambi si creano il proprio mondo per sopravvivere in una società totalmente alienata in cui gli affetti sono condizionati dall’invasione mediatica e la comunicazione viene totalmente filtrata. I due personaggi sfogano le proprie frustrazioni attraverso due monologhi intrecciati, dialoganti e interconnessi tra loro, nei quali vengono svelate le drammatiche conseguenze del bisogno d’amore del figlio, vittima anche di un lento e inesorabile “distacco” della madre che guarda al passato con rabbia e disincanto.
Lo spettacolo vuole essere uno specchio della condizione attuale di molte famiglie sempre più chiuse nel proprio guscio, escluse da una società ancora spaventata dalle diversità, che giudica secondo modelli imposti da media e social network. Il rischio, come accade ai nostri protagonisti, è quello di finire in un circolo perverso apparentemente senza via d’uscita, che spesso sfocia in tragici atti di violenza. Sgorbani utilizza un linguaggio crudo ma altamente poetico, passando continuamente dal sacro al profano: questo permette di affezionarsi ai personaggi nonostante i loro atti d’amore siano spesso estremi e violenti. Madre e Figlio chiedono di essere guardati, considerati anche solo per un attimo da una società che li ha messi da parte, e nella loro disperazione tragicomica diventano prepotentemente simbolo della universale necessità di essere amati.